Intervista a veronica lucchesi. La rappresentante di lista


Oggi intervistiamo per voi una fantastica cantante Toscana: Veronica Lucchesi del gruppo La Rappresentante di Lista.  Questa straordinaria artista ci racconta di se e della sua musica. Delle sue passioni e dei suoi interessi. Del suo rapporto con il teatro ed il cinema. In questa lunga intervista parleremo di tante cose ma non vi vogliamo anticipare troppo. Leggendo l' intervista ne scoprirete delle belle !
A cura di Blessing

Come è nata la tua passione per la musica?
Ero molto piccola, mio padre aveva un gusto particolare per diversi generi musicali e aveva raccolto in casa moltissimi vinili e cassette di ogni tipo di musica: classica, opera lirica, rock, blues, soul. Ricordo che ogni giorno faceva ascoltare a me e a mia sorella artisti diversi e il più delle volte mi appassionavo ad alcune melodie vocali e provavo a riprodurle con la voce, come se la allenassi a spaziare tra i generi. Crescendo mi è rimasta una curiosità, un gusto per il canto e per l’armonia quindi ho iniziato a far parte di un gruppo insieme ad alcuni amici in cui suonavamo e cantavamo canzoni di band rock che ci piacevano moltissimo. C’era una cantante che mi piaceva in modo particolare, Janis Joplin, e suonavamo i suoi brani in un locale della città in cui abitavo, Viareggio. E da lì ho iniziato a cantare di fronte a un pubblico. Quando avevo 18 anni ho fatto un musical e siamo andati in giro per l’Italia con questo spettacolo: io ero tra le coriste e mi sembrava incredibile poter viaggiare, fare spettacoli in teatri molto grandi. È stata una bellissima esperienza, fino a quando non l’ho presa più seriamente quella volta che ho incontrato Dario Mangiaracina e abbiamo formato il gruppo La Rappresentante di Lista.

Come ti sei scoperta cantante?

Per caso, non saprei riportare precisamente. Penso, legandomi a dei ricordi di quando ero bambina, a mio nonno che dopo pranzo guardava sempre un programma in tv dove c’erano delle cantanti e delle ballerine e mi metteva sul tavolino, ero molto piccolina, avevo 3 o 4 anni, e imitavo le protagoniste di questo programma, cercavo di fare i loro balletti. Prendevo un mestolo dalla cucina e lo usavo come microfono e iniziavo a cantare le canzoni che già conoscevo a memoria. Questa cosa è andata avanti fino a quando, insieme alle mie cugine più grandi, mettemmo su degli spettacoli durante le feste di famiglia e in quelle occasioni tornava sempre il momento della prova canora. Mi chiamavano “la cantante”. Forse ho preso dimestichezza con l’atto di cantare in quei momenti. Poi crescendo ho capito che con la voce riuscivo a ottenere piuttosto facilmente, vuoi per orecchio, vuoi per intuito, delle melodie che mi interessava riprodurre. Mi sembrava divertente avere uno strumento in più per inventarmi delle cose, per creare in modo fantasioso delle immagini attraverso la voce.

Come è nato il gruppo?
Il nostro gruppo LRDL è nato nel 2011 quando io e Dario Mangiaracina ci siamo ritrovati in Sicilia per la preparazione di uno spettacolo di teatro, inizialmente lavoravamo come attori. Ci avevano scelti entrambi per mettere su questo spettacolo che si chiamava “Educazione fisica” in cui dovevamo interpretare degli adolescenti di una squadra di pallacanestro che avevano a che fare con un insegnante molto prepotente, a tratti anche violento. Durante la preparazione di questo spettacolo ci portavano in alcuni luoghi di residenza, per esempio in delle palestre. Una volta siamo stati in provincia di Palermo, in una palestra a preparare le varie scene dello spettacolo e durante le pause io, Dario e altri amici attori ci ritrovavamo a suonare, portavamo dietro degli strumenti per stare un po’ sereni, per rilassarci, per divertici. Con Dario abbiamo riscontrato di avere un gusto molto affine. Ci piaceva l’idea di poter essere anche autori per la prima volta. In quel contesto teatrale eravamo sì autori del personaggio che portavamo in scena, ma del resto ti mettevi a servizio di un messaggio pensato e ideato da altre persone, da altri registi. Avevamo la necessità di essere noi stessi degli autori, di portare il nostro messaggio e ritrovandoci con questo desiderio in comune, abbiamo iniziato a scrivere dopo pochi mesi da quell’incontro a teatro, le prime canzoni, poi a farle ascoltare a degli amici e poi a pubblicare le prime tre canzoni con dei piccoli video su YouTube, e da lì è iniziato tutto.

Hai una direzione quando componi e scrivi oppure ti lasci trasportare?

Non è sempre lo stesso procedimento che mi porta a scrivere una canzone. Ogni disco che abbiamo fatto ha avuto una genesi diversa. Per esempio, adesso stiamo scrivendo nuove canzoni per il quarto disco. Ci sono delle volte in cui arriva una suggestione che è come un flusso che ti porta a scrivere di getto una canzone o un ritornello, una melodia. Invece, in questo caso, avevo bisogno di un’intuizione e avevo la necessità di avere un racconto più ampio da cui poi attingere per scrivere le canzoni. È come se mi servisse una storia che mi possa aiutare a sviluppare un immaginario. Una volta che conosco chi è il protagonista, se ci sono degli antagonisti, in che mondo si muove, come sono gli altri intorno a lei, qual è l’aria che si respira, quali sono i colori predominanti… Insomma, una volta che ho scritto tutta questa storia, allora mi riesco ad orientare meglio nella stesura delle canzoni. In questo caso sta funzionando così.

A quale, tra le vostre canzoni, sei più affezionata?

A me piace moltissimo “Questo Corpo”, è una canzone a cui sono molto molto legata. Mi piace anche la canzone “Guardateci tutti”, che fa parte del disco precedente a “Go Go Diva”, che si chiama “Bu Bu Sad”. Questa canzone ha delle parole che per me sono molti importanti perché sono frasi che mi diceva mia nonna parlando di un periodo molto difficile della sua vita, quindi è una canzone che mi è rimasta nel cuore.

             

Come è stato esibirsi a Sanremo e cosa ha significato per te?
È stato divertente. È un palcoscenico molto prestigioso per la musica italiana o comunque viene considerato tale. Quando lo guardavo in televisione mi sembrava enorme e poi una volta che sei lì ti rendi conto che è un palcoscenico normale, anzi anche abbastanza piccolo e che tanto fa la televisione: la televisione, spesso, amplifica moltissimo le sensazioni per il pubblico che l’osserva. Del resto, io sono arrivata sul palco dell’Ariston dopo aver fatto tantissimi concerti dal vivo, e quindi in realtà, al di là dell’ emozione che capita sempre di avere prima di cantare e di esibirsi, ti rendi conto che vai lì forte del tuo mestiere, di qualcosa che conosci, che sai come gestire. Ci sono palcoscenici che mi hanno emozionata molto di più in cui potevo realmente vedere le persone, guardarle negli occhi, sentire la loro vicinanza. Mi sono sentita più insieme agli altri in altri contesti. È stato comunque molto divertente e la cosa che mi piace ricordare è stata la cura che hanno avuto le persone che lavorano intorno a quel palcoscenico. E quindi le costumiste, i parrucchieri, i tecnici che ti aiutano, che ti tranquillizzano, che ti fanno un sorriso buono, queste donne che si aiutano a vestirsi, che cercano di metterti a tuo agio. Questo è stato molto bello perché ha reso l’ambiente caloroso. Sanremo è stato anche sentire mia madre al telefono emozionata fino alle lacrime e poi mi hanno scritto un sacco di persone che non sentivo da anni. Insomma… mi è piaciuto!

Come è stata la tua esperienza nella serie “Il cacciatore 2”?
Era la mia prima esperienza televisiva e anche in questo caso è stata un’avventura che mi ha arricchita moltissimo. Ho incontrato un team di lavoro che mi ha fatto sentire a casa e che è stato veramente gentile nell’accompagnarmi in questo progetto. Gli attori che lavoravano con me, avendo più esperienza, mi davano tanti buoni consigli. Un aspetto che mi fa sorridere quando ripenso alle riprese è il seguente. Pensa a una famosa scena romantica del cinema dove i protagonisti si parlano intimamente. In realtà in quel momento sul set ci sono: 2 make up artist, 2 hair stylist, regista, macchinista, fonici, costumista, cameraman, direttore della fotografia, sceneggiatori, produttore, assistente del produttore, un sacco di gente! Quindi in me, che non avevo idea, c’era anche un po’ di tensione, abituata al mondo del teatro. Nel teatro c’è incontro, ma riesci a trovare anche una sacralità dello spazio, dei personaggi, del microclima che creano all’interno della scena. Questa serie ha significato molto per me e per la mia crescita artistica. Io ringrazio il regista per avermi dato questa possibilità.

Quali nuove sfide avete raccolto per il riarrangiamento delle vostre canzoni per la serie?
Abbiamo dovuto riscrivere alcune delle canzoni di “Go Go Diva” in chiave anni 90. Siccome la serie tv è ambientata nel ’96, la cantante che io interpretavo e la sua band dovevano rispecchiare i tempi e quindi ci siamo trasformati in una band punk-rock. Abbiamo travestito le canzoni scritte nel 2018, abbiamo fatto suonare le chitarre in modo più pesantemente, la batteria con un suono più aggressivo, la band un po’ più cattiva e arrabbiata. È stato un lavoro di riarrangiamento in cui anche io ho cercato di trovare una voce che somigliasse di più a quella del personaggio che interpretavo, è stato per me un esercizio entusiasmante perché mi faceva piacere che quelle canzoni non suonassero con la mia voce, perché la mia voce fa parte di un altro mondo. Lì avevo bisogno che il personaggio che interpretavo “Maria” avesse una voce tutta sua e quindi è stato un bel gioco.

Come si coniugano la tua musica e il tuo teatro?
Utilizziamo il teatro come uno strumento a nostra disposizione. Sia quando scriviamo che quando suoniamo dal vivo, il teatro è come se ti offrisse dei mezzi in più per creare delle immagini. Ho sempre avuto a che fare con un tipo di teatro che partiva dal corpo: se dovevi essere un personaggio che un tempo era stato un boxer, dovevi fare tutto uno studio sul corpo perché rimanessero i segni di anni di combattimento. Quindi prima ancora di generare una parola, di dialogare, il personaggio aveva bisogno di trovare quelle sensazioni nel proprio corpo ed è un esercizio che a me piace moltissimo fare anche nella scrittura delle canzoni. Mi piace immaginare che i personaggi che descriviamo all’interno dei nostri brani abbiano questo tipo di percorso. Quindi che siano prima corpo, immagine, dettagli, capire in che mondo si muovono, capire che cosa vedono, dove si trovano, se camminano in un certo modo e poi affidargli delle parole adatte. Musica e teatro, messi insieme in modo naturale, sono linguaggi per andare lontano con la fantasia, per immaginarsi delle possibilità altre.


Qual è il carattere di “Questo Corpo”?
Inizialmente la canzone era una sorta di piccolo racconto che parlava di una donna che a poco a poco perdeva i pezzi del proprio corpo e si trasformava in una sorta di zattera sulla quale nasceva una montagna e della natura tutt’intorno a lei. Da questo scritto, ho cercato poi di capire quali fossero le necessità di questa donna, quali fossero i suoi desideri e qual era la spinta che riusciva a farle rimettere insieme questi pezzi per poter andare avanti. Abbiamo capito così che lei è una donna inizialmente arrabbiata che dice che non le piace niente e non le piace nessuno, guarda le parti del proprio corpo e le trova inadatte, forse perché qualcuno le ha fatto pensare che fosse inadatta per fare delle cose, forse perché qualcuno le ha posto dei limiti, le ha messo delle barriere di fronte. A un certo punto, invece, proprio quando lei riesce a riafferrare delle parti di sé, a riaffermare se stessa, è una donna che conquista un carattere più forte, più deciso, si rende conto può diventare grido potente e canzone. È una donna che fa un percorso complesso: è questo il carattere che le abbiamo dato.

Cosa ti appassiona del teatro?

Mi piace moltissimo il fatto che ci sia un incontro. È l’incontro che lo rende possibile, perché il teatro non si può fare da soli. È uno scambio con il pubblico, il fatto che ci sia qualcun altro che ascolta un messaggio che tradurrà con un significato uguale al mio o diverso. E mi piace che il teatro possa generare delle domande, un pensiero che ti puoi portare a casa, su cui riflettere. Si incontra il pubblico come dicevo, si incontra il proprio personaggio che è una figura da scoprire, si incontrano gli altri attori che sono in scena con te e quindi si genera il dialogo. Si incontra il silenzio che permette all’altro di parlare, e quindi c’è l’ascolto che è un’altra caratteristica fondamentale del teatro. E poi c’è l’incontro con tutte le figure che gravitano intorno al palcoscenico, quindi macchinisti, scenografi, regista, tecnici. C’è l’incontro con lo spazio: capire in che spazio ti trovi, capire come pulirlo e sistemarlo, come renderlo casa, come avvicinarlo e che rispetto averne.

                        


Con chi vi piacerebbe collaborare nel futuro? Un’artista che stimi molto e perché?
In questo momento ci sono moltissimi artisti che mi piacciono. Posso pensare a David Byrne, fondatore di un gruppo meraviglioso, Talking Heads, mi piace moltissimo Billie Eilish, una musicista americana che si chiama St. Vincent, e con loro collaborerei subito! In questo momento in cui stiamo scrivendo delle canzoni nuove e stiamo anche sviluppando dei temi, delle parole chiave, stiamo studiando quello che sarà il messaggio di queste canzoni. Allora mi piacerebbe incontrare due filosofi molto bravi con le parole e che sono sempre fonte di ispirazione. Li seguiamo spesso sia su Instagram che quando partecipano a dei programmi televisivi o su internet: loro sono un duo, un ragazzo e una ragazza, si chiamano tlon.it. Loro trattano temi meravigliosi e sono molto poetici. In questo momento con loro collaborerei e vorrei raccontargli di quello che sto scrivendo, approfondire alcuni argomenti che mi interessano. Mi piacerebbe tanto confrontarmi anche con un altro personaggio che si chiama Stefano Mancuso. È un botanico, si occupa di piante e fiori e della loro intelligenza ed emotività. Riesce a farti capire tanti aspetti della vita e di quanto sia fondamentale la natura per noi.

Come stai trascorrendo questi giorni in quarantena?

Sono a Palermo, abito in Sicilia, e li sto trascorrendo a casa. Fortunatamente ho un terrazzo molto ampio, dove batte un sacco di sole. In questi giorni ci sono bellissime giornate, riesco a prendere della buona aria. Davanti a questo terrazzo, il nostro vicino di casa ha un giardino immenso, stracolmo di piante, fiori, erba verdissima, alberi da frutto, e quindi arriva molto silenzio, molta tranquillità, un bel venticello e dialoghi tra uccelli. Devo dire che tutto sommato me la cavo bene. Mi manca incontrare gli altri e soprattutto il fatto di poter scegliere come disporre della mia vita.

In che cosa credi?
Questa è una bella domanda, una domandona! Io credo, voglio continuare a credere nella possibilità di un cambiamento, di una trasformazione. In questi giorni soprattutto la cosa che mi spaventava di più era pensare di tornare alla normalità della vita di tutti i giorni, però alla normalità che conosciamo bene, quella di ieri, quella del mondo prima di questa epidemia. È una normalità che purtroppo credo faccia molta resistenza a un cambiamento positivo, un cambiamento nei confronti della natura, dell’ecologia, che secondo me è uno dei punti più importanti che dovrebbe essere messo sul tavolo dei pensieri sia della politica che della società. È in atto un grandissimo ecocidio da parte della nostra società. Vorrei che ci fosse un cambiamento nella distribuzione delle ricchezze perché mi rendo conto che c’è un abisso tra chi sta in alto e chi sta un po' più in basso e per questo mi spaventa molto che tutto torni com’era prima. Mi piacerebbe che la gente non fosse spaventata dal silenzio, che ascoltasse di più, proprio perché il silenzio diventa occasione di ascolto e permette di colmare quello che sembra un vuoto con la presenza, invece, di qualcun altro o con la condivisione di un silenzio insieme a qualcun altro. Mi piacerebbe che cambiasse il modo di gestire le relazioni con gli altri, l’incontro, il modo di guardarsi, di conoscersi, mi piacerebbe che esistesse più curiosità quando ci si trova di fronte a qualcuno che non si conosce. In senso ampio credo e spero che sia possibile un cambiamento.  

Un grazie particolare a Serena e a tutte le persone che hanno reso possibile questa intervista.

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