intervista ad andrea gianessi
Il fascino di questo artista sta nella sua eleganza. I suoni e la voce vengono trattati con grande cura. Il cantautore ci prende per mano e con passo leggero e delicato ci accompagna alla scoperta del suo mondo sonoro. Un luogo abitato da innumerevoli spunti creativi che Gianessi condivide con l' ascoltatore. In questa intervista faremo con lui una piacevole passeggiata in cui i racconti si intrecceranno ai profumi primaverili di un luogo incantato come i Giardini Margherita di Bologna. Il soffice manto erboso ci fa da cornice e le parole di Andrea Gianessi sono gradevoli storie di un artista tra musica, teatro, sperimentazione e fili d' erba "da strappare e poi soffiare" (cit. F. De Gregori).
Buona lettura !
Come ti sei avvicinato al
mondo della musica? Quali sono i tuoi primi ricordi?
Ho iniziato da piccolissimo, mio
padre suonava la chitarra acustica - era un chitarrista da spiaggia, come ama
definirsi - quindi ho cominciato alle cene con gli amici dei miei: dopocena si
suonava e cantava finendo il vino. Mi avevano anche regalato una piccola
chitarrina giocattolo, avrò avuto 4 anni credo. Poi ero passato anche alle
“tastiere” con una pianola Casio con cui suonavo perle come la Lambada, il
jingle della Barilla, e persino la linea melodica di A whiter shade of pale,
dei Procol Harum. Ci avevo preso gusto e facevo dei piccoli show domestici come
cantante, utilizzando il batacchio delle tende come finto microfono e
travestendomi per impersonare i vari cantanti famosi, come Enrico Ruggeri, per
esempio. Poi da adolescente ho cominciato a studiare chitarra elettrica e da
allora non mi sono più fermato, sto ancora studiando.
Quali generi e quali artisti
hanno influenzato di più la tua musica?
Difficile
dirlo, sono sempre stato molto vorace e curioso, ascolto tantissimi generi
diversi. Inizialmente forse tutto il cantautorato italiano che era quello che
andava per la maggiore nelle serate in famiglia: da Battisti a De Andrè
passando per Battiato, Dalla, De Gregori, Ivan Graziani, Guccini, etc. Poi mi
sono appassionato al rock anni 60 e 70 in tutte le sue declinazioni: il beat,
il progressive, la psichedelia, l'hard rock. Per cui artisti ormai ultra
classici come Beatles, Pink Floyd, Jimi Hendrix, Santana, Doors, Black Sabbath,
Led Zeppelin, Deep Purple fino ai meno pop come gli Area, la PFM, King Crimson
e tutte le derivazioni prog italiane e internazionali. Poi dagli anni 90 mi
sono avvicinato anche all'elettronica, dai Massive Attack in avanti, passando
da Aphex Twin fino per lo meno ad Alva Noto. I nomi sono talmente tanti che non
riesco a farli tutti. Per ogni progetto musicale o disco che ho fatto si
possono individuare dei riferimenti precisi e diversi comunque, perchè mi piace
cambiare ambito e genere. Spesso inserisco nei dischi anche delle vere e
proprie citazioni. Studiando musica fino all'università negli anni sono andato
ad approfondire anche molti ambiti non pop, come il minimalismo, l'elettronica
cosiddetta colta, le avanguardie. È divertente vedere come molte
sperimentazioni delle avanguardie entrino poi a far parte delle prassi musicali
del pop, basti pensare al campionamento, ma anche alla sintesi o all'idea del
loop.
Perché scrivi canzoni?
Mi viene naturale. Non c'è un
motivo né un obiettivo preciso. Ho sempre scritto testi e musiche, fin da
adolescente. Mi registravo già a 12-13 anni con dei registratori portatili a
cassetta, facendo anche rudimentali sovraincisioni. Forse all'inizio era più
per curiosità, per provare a ricercare delle sonorità sugli strumenti, o con la
voce. I testi o gli appunti che scrivo sui miei quaderni - come credo molte
persone facciano - li penso già come canzoni più che come testi da leggere,
vanno cantati. In realtà ora che compongo anche molta musica strumentale o non
in forma canzone mi capita talvolta di scrivere anche senza inquadrare in una
struttura musicale il testo, a volte questi diventano brani teatrali, pezzi di
drammaturgie, ma hanno sempre un loro ritmo interno e una sorta di autonomia.
Oltre che autore delle tue canzoni
sei anche un polistrumentista. Quale strumento musicale non può mancare in una
tua canzone?
Nessuno in particolare. Sono
principalmente un chitarrista e di solito parto da quello strumento per
comporre una canzone, almeno nella fase iniziale. Però come dicevo mi piace
cambiare di progetto in progetto e non ho problemi a lasciare la chitarra
appesa al muro. Mi piacerebbe saper suonare bene tutti gli strumenti
possibili... ma è un compito arduo.
Nella tua musica c’è sempre
molta cura per le atmosfere e l’ambientazione sonora. Durante la scrittura
quali attenzioni dai a questa componente delle tue canzoni?
È una derivazione del mio essere
anche sound designer: ogni opera per me ha un suo progetto sonoro molto
definito, con delle scelte anche radicali. La cura della produzione e degli
arrangiamenti, che credo sia fondamentale, comunque arriva in genere dopo la
scrittura pura e semplice della singola canzone: è come una seconda fase in cui
decido e realizzo il progetto sonoro relativo a quella produzione in cui ho
deciso di inserire il brano. Mi diverte anche molto provare arrangiamenti e
sonorità diverse sullo stesso brano, farne remix o versioni elettroniche, o in
altri generi. Nel mio disco La Via della Seta per esempio avevo deciso di
arrangiare esclusivamente con strumenti acustici e togliendo del tutto basso e
batteria – cosa quasi assurda nel cantautorato pop – per lasciare spazio a
sonorità come bouzouki, tabla e percussioni mediorientali. Però in realtà molti
di quei brani erano nati anni prima come canzoni pop o addirittura rock. Ora mi
piacerebbe fare una versione strumentale e rivisitata, di quello stesso disco,
sarebbe totalmente diverso. Mi è capitato anche spesso di lavorare come
producer per altri artisti o gruppi musicali, è una cosa che mi stimola molto.
Perché scrivere una canzone
sui Giardini Margherita?
È un omaggio puro e semplice. Ho
passato tantissimo tempo in quei giardini a camminare a incontrare amici,
suonare, bere vino, pensare. Scherzando dicevo sempre che erano il mio ufficio.
Ho mille ricordi che mi legano a quel luogo un po' simbolo di cazzeggio libero
e un po' luogo di riflessione. Ci sono andato per smaltire la rabbia, le
delusioni, o per divertirmi, per innamorarmi, per prendere aria e sole, o per
stare isolato. Una volta mi è capitato addirittura che mi volessero
intervistare – per un servizio della tg regionale – perchè stavo da solo,
d'inverno, su una panchina a guardare il prato. Alla troupe RAI che passava di
lì è evidentemente sembrato piuttosto strano. Mi chiesero “possiamo farti delle
domande?”, la mia risposta è stata “no”. La canzone l'ho scritta tanto tempo
fa, ma l'ho pubblicata ora che siamo in quarantena perchè i giardini sono
chiusi, e tutto assume un senso ulteriore, una nuova dimensione. Mi sembrava il
momento più adatto.
Il bellissimo video in bianco
e nero di Giardini Margherita è stato girato dal regista Davide Ricciuti. Come
è nata la vostra collaborazione?
Davide è un amico di lunga data
e ha realizzato tutti i miei videoclip e molto altro. Tra l'altro è una delle
persone che hanno condiviso con me tantissimi momenti proprio ai Giardini
Margherita. Ci trovavamo spesso a bere un po' di vino e a discutere di progetti
artistici o di prospettive filosofiche. È un regista video e uno scrittore -
scrive racconti brevi - oltre che essere un filosofo. Ci siamo conosciuti più
di dieci anni fa lavorando nella post-produzione di un film, lui era
nell'ambito video e io in quello audio, abbiamo fatto amicizia durante un
interminabile passaggio di file tra hard disk, potevamo fissare la barretta di
avanzamento del download oppure chiacchierare, per fortuna avevamo argomenti.
Come si incontrano la tua
musica ed il teatro? Come nasce la collaborazione con la regista teatrale
Federica Amatuccio?
Ho sempre avvertito la voglia di
superare la forma canzone e il teatro mi ha permesso di farlo. Ora mi occupo
principalmente di musiche di scena e sound design teatrale. Avevo già fatto un
po' di esperienze in passato ma è stato incontrando Federica, che è regista e
scenografa, che posso dire di aver cominciato seriamente a pensare al teatro
come sbocco per la mia musica, e anche per parte dei miei testi e dei miei
progetti in senso più ampio. Con Federica è stato un vero e proprio colpo di
fulmine. Abbiamo fatto un primo piccolo spettacolo di teatro di strada, montato
nella primavera del 2013 che ha debuttato a luglio nell'importante festival
Mercantia di Certaldo. Era uno spettacolo piccolo ma andò molto bene e subito
dopo decidemmo di fondare una compagnia, il Teatro dei Servi Disobbedienti –
per gli amici tsd. Il primo vero spettacolo teatrale venne subito dopo, nel
2014, uno spettacolo di teatro danza intitolato Fimmina Morta che vide il
debutto al Teatro Comunale di Gela in Sicilia. Da allora con la compagnia
abbiamo realizzato sei produzioni, avviato insieme ad altre realtà uno spazio a
Bologna, il DAS – Dispositivo Arti Sperimentali e abbiamo molte altre cose in
ponte. Io poi personalmente in questi ultimi anni ho anche lavorato con diverse
altre compagnie di teatro e anche con teatri stabili.
Che progetti hai in cantiere?
Sto approfondendo sempre più il
mio rapporto con l'ambito teatrale. Ho un nuovo progetto teatrale e musicale in
corso con il Teatro dei Servi Disobbedienti che vede coinvolti oltre a me e
Federica altri tre bravissimi musicisti-performer. Sto anche lavorando a
musiche e sound design per uno spettacolo di Giuseppe Stellato, della compagnia
Stabilemobile, che porteremo in tour, virus permettendo. Avrei in mente anche
delle uscite discografiche: un album strumentale di elettronica, tratto dalle
mie produzioni per il teatro, un paio di altri singoli-canzoni che usciranno
nelle prossime settimane e - chissà - forse anche un album intero di canzoni,
più avanti.
Ci consigli 5 artisti e 5 loro canzoni che
dovremmo ascoltare in questo momento?
Nick Drake – Cello song
Brian Eno - By this river
Lucio Battisti – Respirando
Jun Miyake – Alviverde
Area – Cometa Rossa
Salvatore Costanziano
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